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1.    Quali sono stati gli artisti e i fumetti che ti hanno convinto a intraprendere la carriera di disegnatore nel mondo delle nuvole parlanti?

Ho sempre amato disegnare ma non credo che ci sia stato un autore in particolare che abbia fatto scattare la scintilla. E’ stata più una lunga contaminazione che è partita dalle primissime letture col Topolino che mi comprava il mio papà fino alle riviste d’autore degli anni ’70 con disegnatori straordinari del calibro di Micheluzzi, Font, Corben, Pazienza.

 2.    Passi con disinvoltura dalle polverose e ruvide atmosfere di Tex a quelle variopinte e divertenti della Disney. Come si giunge ad eccellere in questi due stili diversissimi fra di loro?

Proprio negli anni ’70 usciva la prima edizione del Garage ermetique. Guardavo estasiato rapito dal fatto che ogni tavola era realizzata con uno stile sempre differente anche se a disegnarla era sempre lui, Moebius. Pensai immediatamente che riuscire a realizzare cose tante diverse avrebbe significato non solo non annoiarsi mai ma anche sperimentare strade sempre diverse. Tutto questo mi sembrava entusiasmante. Detto, fatto. Appena avuta la possibilità cercai nel mio piccolo di mettere in pratica l’insegnamento e cominciai a collaborare sia con Comic Art e con Disney, rispettivamente: disegno realistico e umoristico.

 3.    Per “catturare” il volto di Tex, a chi ti sei ispirato maggiormente e che studi hai fatto per giungere alla versione finale di un volto interpretato in oltre 60 anni da decine di disegnatori?

Le interpretazioni del volto di Tex variano moltissimo da autore ad autore. Le indicazioni giunte dalla redazione lasciavano un buon margine di libertà dando generici riferimenti verso i più popolari Tex di Villa e Ticci. Ma non sono abituato ad avere modelli così rigorosi, quando capita finisce che mi metto davanti qualcosa per ispirarmi e invece finisce che la rifaccio uguale. Era curioso vedere le tavole alla Mastantuono con le facce di Tex che sembravano incollate artificiosamente e fuori contesto. E’ stato un lavoro che comunque mi è servito. Vignetta dopo vignetta mi impadronivo sempre più del personaggio e delle sue caratteristiche. Nell’arco di una trentina di tavole avevo finalmente messo a punto una fisionomia che non tradiva la tradizione, rendeva riconoscibile il personaggio senza snaturarlo troppo, ma con quello tocco che lo rendeva personale. La mia idea di Tex è un Gary Cooper un po’ più massiccio.

4.    Per le atmosfere Disneyane invece, chi è stato il tuo punto di riferimento?

Carpi, Scarpa, tutti i grandi che mi hanno preceduto, con particolare riferimento al genio creativo di Giorgio Cavazzano. E’ da lì che sono partito tanti anni fa per poi cercare, con grande umiltà e spirito di sacrificio, una strada tutta mia.

5.    Nei tuoi disegni, prima dell'inchiostrazione quanto dettaglio raggiungi con la matita? Sei pienamente soddisfatto dell'inchiostrazione o l'immediatezza e potenza espressiva del tratto a matita persiste nella tua memoria?

Per quanto riguarda la mia produzione disneyana è ormai qualche anno che mi avvalgo della collaborazione del grande inchiostratore Alessandro Zemolin. Malgrado sia molto bravo a interpretare i mille segni di cui un disegnatore è costretto a servirsi per costruire una tavole e riesca a selezionare con grande sensibilità le linee da ripassare da quelle da ignorare, il mio disegno a matita, in questo caso, è molto pulito e definito, cercando di agevolare per quanto possibile il lavoro che verrà. Prima le mie matite erano decisamente più sporche con delle parti appena abbozzate che poi sviluppavo direttamente a pennello. Cosa che avviene regolarmente per la mia produzione Bonelli, dove solo io posso ripassare a china delle matite così approssimative.

6.    Fra le varie esperienze c'è anche quella di copertinista di alcune serie della Bonelli (Nick Raider, Magico Vento, Shanghai Devil). Qual è il segreto per un’ottima cover e quali insidie si nascondono nel realizzare un disegno che sia la sintesi delle atmosfere della storia e della filosofia del personaggio?

Una cover è una vetrina che deve evocare un’atmosfera senza svelare troppo, deve incuriosire fino a spingere all’acquisto. Una buona cover deve essere bilanciata, senza dare l’impressione di confusione ma anche senza rischiare la banalità del vuoto senza ragione. Se si riesce a seguire queste poche regole, ma tutte importanti, ci sono buone possibilità che la cover che si sta realizzando sia almeno piacevole.

7.    Quali sono in dettaglio i tuoi strumenti di lavoro (tipo di matite, fogli, pennelli, chine, acquerelli, acrilici, spatole o altro) e perché prediligi questi strumenti?

Uso strumenti classici, più o meno quelli che si usavano cento anni fa: china, pennelli, pennini, cartoncini. In questi ultimi anni ho aggiunto pennarelli e computer ma sono molto geloso della mia manualità. Tra i cartoncini spesso preferisco gli Shoeller o i Fabriano, pennelli Windsor & Newton o Raphael, china Pelikan o Windsor & Newton, pennini Gllots 850. La ricerca continua incessantemente alla ricerca dello strumento che rende al massimo per quello che devo fare.

8.    Utilizzi prodotti Winsor & Newton?

Certo: pennelli di martora n.1 e 2 della serie 7 e china nera.

9.    Per la colorazione delle copertine negli anni hai adottato varie soluzioni. Vuoi descriverci questa evoluzione sino a giungere alla tecnica attuale che ti è valsa anche un riconoscimento?

Quando ho ereditato le copertine di Nick Raider da Bruno Ramella con il n.100, per un discorso di continuazione mi sono sentito in dovere di riprendere la sua tecnica. Si trattava di un grosso vignettone in bianco e nero. Si allegava una fotocopia con le indicazioni per i colori che poi sarebbero stati riprodotti al computer. Il risultato era spesso deludente e poco a poco convinsi la redazione che realizzare delle vere illustrazioni a tempera sarebbe stato un salto di qualità per la testata. C'è stato un certo cambiamento tra le cover di Nick Raider rispetto a quelle di Magico Vento: la colorazione è sempre mia ma la tecnica è completamente diversa. Per Nick Raider, come dicevo, si è optato per una illustrazione a tempera, materica, con un gioco di pennellate per far risaltare le atmosfere. Con Magico Vento, anche per non confondere i lettori, visto che per un lungo periodo le testate uscivano contemporaneamente in edicola, era necessario un taglio completamente diverso. Mi è stato chiesto di mantenere il contorno nero, scomparso invece su  Nick Raider, e una grande cura del particolare. Quello che ho proposto è una tecnica che prevede il disegno realizzato a mezzatinta a matita e colorato al computer, anologo all’ultima testata di cui ho ereditato le cover, Shanghay Devil. Il risultato finale mi ha fruttato a suo tempo un premio Fumo di China e ha incontrato il favore dei lettori esigenti e di questo non posso che essere orgoglioso. Per quanto riguarda Disney, al momento seguo la testata Disney Big dove ho adottato il segno a matita per il ripasso, invece di quello a china che classicamente continuo a usare per Topolino, seguito dalla colorazione digitale.

 10. Quando non disegni fumetti, cosa disegni/dipingi e con quali tecniche?

Le illustrazioni per Gallucci, per i suoi libri con canzoni dello Zecchino d’oro illustrate, sono state realizzate con ecoline con effetto finale, per chi non conosce il prodotto, simile all’acquarello.

 11. Hai mai pensato di sperimentare qualche particolare tecnica mista per le tavole di fumetti?

Soprattutto a inizio carriera pasticciavo molto, fondendo tecniche e scoprendo effetti. Riuscivo a shakerare Pantone, pastelli a cera, tempere, matite, per ottenere delle texture spontanee e molto veloci da realizzare.

 12. Hai un trucco o un escamotage che hai sperimentato negli anni per ottenere facilmente degli effetti speciali o delle particolari atmosfere?

Se al vassoio dove si mescola la tempera si aggiunge il sale grosso si materializzano strane macchie molto anni 70. Con la varechina si possono schiarire delle campiture di colore proprio per ottenere un effetto candeggiato...ma l’odore non è dei migliori. Eh, eh!


 

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