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Lillo e Greg per la prefazione

 

Greg: Corrado Mastantuono nasce a Roma il 20 dicembre 1962. Sin dall’infanzia dimostra il suo talento per il disegno. Nel 1980 si diploma all’Istituto Nazionale per la Cinematografia e la Televisione come disegnatore di cartoni animati, attività che svolgerà dal 1980 al 1989...

Lillo: Scusa, ma che è?

Greg: La cosa che ci hanno chiesto su Corrado… la prefazione.

Lillo: Beh, ma questa sembra che l’hai presa da Wikipedia!

Greg: A parte che non è Wikipedia, ma poi che c’entra? È un minimo di biografia, no? Ma poi che vuoi tu? Non lo so, arrivi fresco, fresco e critichi! Fammi finire…Senti: nel 1990 debutta nel mondo del fumetto. Nello stesso anno esordisce su Topolino. La collaborazione con la Walt Disney lo porta sulle pagine di…

Lillo: Senti, non si può leggere ‘sta cosa!

Greg: Ma che vuoi?

Lillo: Voglio che esca una cosa originale, non un insieme di nozioni prese da internet! Corrado è un amico, lo conosciamo dall’89! Gli vogliamo scrivere qualcosa che risulti meno asettico?

Greg: Oh, hai davvero rotto le scatole! Scrivila tu, allora!

Lillo: Corrado quando gioca a Risiko usa sempre le armate nere, ha capelli brizzolati che non tinge per intonarli ai vestiti grigi che ama indossare. Taglia la barba ogni tre giorni e le unghie ogni sette, ha un tatuaggio ridicolo sulla caviglia destra...

Greg: Scrivi pure che a pranzo ha mangiato un  kebab!

Lillo: Cos’è questa, ironia?

Greg: Non lo so, ti sembra che stai scrivendo delle cose interessanti?

Lillo: Senz’altro sono più personali di quelle che stavi scrivendo tu!

Greg: Ma allora scrivi di Corrado artista, di quello che pensiamo di lui, dei suoi lavori, del perché ci piacciono! Che Corrado disegna molto bene, perché…perchè è una dote… una dote che aveva già da piccolo e poi anche da grande...ma da grande di più...proporzionalmente. Ha disegnato per Topolino…tante cose… tipo…Come si chiama quel personaggio che s’è inventato? Grugno…

Lillo: Grugno?

Greg: Sì, Grugno. Grugno Bum, mi sembra…Ha inventato Grugno Bum. Poi ha lavorato per quelli che stampano Tex che gli chiesero Nick Carter...

Lillo: Nick Raider!

Greg: E’ uguale, quello che conta è che lui disegna un sacco di cose...Yellow Kid, Carson Kit, Diabolik, Paperinik, forse anche Dorellik, ma non sono sicuro...e scrive anche...disegna pupazzetti e scrive pupazzetti, ecco...altra dote, due doti fanno pensare! Non contento disegna anche per la Francia, lì però in francese. Non l’ha deciso lui, gliel’hanno chiesto...

Lillo: Senti, riapri internet!

I miei amici Lillo & Greg ci scherzano su, ma quello che festeggio è un grande evento.

Disney ha scelto me per essere presente in libreria con un prestigioso libro a fumetti: Disney d’Autore, Mastantuono.

Già, un libro a fumetti, continuano a ronzarmi in testa queste parole. Suona strano, una contraddizione in termini. Per forza, mi dico, ci hanno abituati che ci sono libri e ci sono fumetti. I primi come solido esempio di comunicazione erudita, di diffusione della conoscenza attraverso la scrittura, d’arte attraverso il verbo, riscrivendo incessantemente i confini della conoscenza... E il fumetto? Eh, povero, si è dovuto scrollare di dosso pregiudizi di ogni tipo. Nato in America come forma d’intrattenimento popolare e come prodotto squisitamente commerciale, da noi viene accolto con sospetto e ritenuto inadatto all’avvio alla lettura. La soppressione dei balloon a favore delle strofette rimate diventa automatico e negli anni questo ha stratificato l’equivoco per cui la nuvoletta, malsana e antididattica, fosse il contraltare funesto della didascalia letteraria e pedagogicamente sana. Eppure il fumetto è andato avanti, si è imposto in poco più di un secolo come forma d’arte grafico-letteraria dimostrando come una comunicazione che potrebbe risultare innaturale per il grezzo connubio di immagini e parole ha invece la capacità di attirare i fruitori più disparati. I pionieri del fumetto si chiedevano: riusciranno i lettori a capire che quelle scritte ai lati dei personaggi rappresentano quello che dicono? Riusciranno ad astrarsi al punto da associare due eventi simultanei, parola e immagine? Domande ingenue al giorno d’oggi. Il lettore è stato da subito perfettamente capace di “far finta”! E’ proprio nella loro fusione che la parola e l’immagine raggiungono l’apice, portando il lettore a inventare voci, rumori, atmosfere, stabilire pause e intermezzi, gestire tagli e inquadrature, così che anche nello spazio tra una vignetta e l’altra il racconto si articola e si definisce. Il lettore di fumetti ha dunque marchiati i propri cromosomi, spesso e per fortuna con un topo dalle enormi orecchie, che gli permette di maturare la capacità di astrazione e completamento. E io mi sentirò fortunato una volta di più quando completerete le mie vignette, quando, mettendoci del vostro, darete un timbro alla voce dei personaggi o imporrete una cadenza che sarà solo vostra. Le pagine sono a vostra disposizione per essere interpretate e in esse si cela tutta la mia vita professionale e umana.

Ogni vignetta, come una pagina di un diario comprensibile solo a me, racconta di una stagione, di uno stato d’animo, di un momento particolare: l’attesa per l’uscita in edicola della mia prima storia, la promozione a copertinista, le corse per onorare le scadenze, l’insoddisfazione e la curiosità, le iniziali di qualche mio amore tra le scenografie di Paperopoli. Le vignette si susseguono mentre un amico parte, mentre cambio casa e abitudini, mentre divento papà. Tutto nello scrigno della storia delle mie storie a fumetti.

Ovvio, non potrete decifrare questo mondo nascosto ma sono sicuro che intuirete le vibrazioni che l’hanno composto e che apprezzerete la rivisitazione dei colori che mi sono impegnato a fare, e se ancora una volta e magicamente riuscirete a “far finta” darete vita a quella “sospensione momentanea dell’incredulità” che potrà consentirvi di leggere, odorare, mangiare, metabolizzare e vivere le avventure strampalate messe a punto con lucida follia.

Ma prima una piccola presentazione:

Nasco con la passione per il disegno, e per il latte condensato, e per la cioccolata a taglio, e per Big Jim...ma soprattutto per il disegno. Nel 1965, all’età di tre anni, il mio primo trompe oeil con un gessetto su una porta di casa, lo intitolo “Pinocchio in piedi”. Contavo molto sulla critica benevola di mia madre che invece non coglie il guizzo del genio: “Povero burattino, non si stancherà?” Commenta. Non mi perdo d’animo e lo metto seduto. Nasce l’opera “Pinocchio seduto”. Nei cinque anni delle elementari prendo dieci in disegno, come la quasi totalità dei miei compagni di classe. Pur non sottovalutando la concorrenza, proseguo spavaldo. Sono di questo periodo le opere “La mia casa”, “Il letto di zia Pierina”, “Le rondini tornano ai paesi caldi” realizzati a colori su supporto a tracciato regolare (quaderno a quadretti). Per il primo fumetto bisogna attendere il 1973. Prende vita “L’Uomo Gatto”, tutto direttamente a biro, senza costruzione a matita. Qualche anatomia inventata e qualche refuso non rovinano l’impatto emotivo di questo capolavoro di 30 tavole. L’urlo disperato “Ti giro, papà, che ti vendicherò!” nella splash-page centrale, riassume la verve creativa senza confini e la mia distrazione.

1975, è tempo di scuole superiori. Malgrado la lunghezza del nome, decido di orientarmi verso la sezione disegno dell’Istituto Statale per la Cinematografia e la Televisione, anche se non entrerà mai in nessun curriculum. In quattro anni colleziono assemblee, auto-gestioni, occupazioni, dibattiti, scioperi,  e un paio di interrogazioni su Beato Angelico. Nell’attestato finale, nelle materie artistiche prendo tutti dieci, come alle elementari. Tanta strada e fatica per non cambiare nulla. A saperlo...

Mi faccio le ossa in uno studio di cartoni animati dove mi adopero anche in grafica, scenografia, story-board, slide, modell-sheet e altre cose che non so scrivere. E’ un periodo di grande crescita in cui tutto serve a prepararmi per il grande salto nel mondo Disney. Avviene nel 1989, grazie al maestro Giovan Battista Carpi, che mi unisce al gruppo di artisti d’indiscusso talento che sta formando: Camboni, Freccero, Ziche, Perina, Santillo, Intini, Mottura, Celoni. Ho solo 27 anni ma sono il più vecchio di tutti. Iniziamo male, mi dico. Sforno storie a ripetizione con alterne fortune. Non demordo, affino la tecnica e svuoto negozi d’arte, ingentilisco il tratto e arricchisco cartolerie. In poco più di due anni realizzo trenta storie: Topolino, Minni & Co., Enigmistica di Minni, Topolino Sport, tutto è buono per sfogare il mio impeto creativo. Di lì a poco nasce un nuovo progetto, quasi in clandestinità. Sono molto divertito dall’atmosfera di questo periodo. Si sperimentano inquadrature, si studiano personaggi e in un’esaltazione collettiva prende forma uno dei più grandi successi della Disney, PK. Partecipo con entusiasmo anche alle serie successive come MM e X-Mickey pur continuando a produrre per la testata principale. Il 1996 è un anno memorabile, il più grande riconoscimento della Disney, il Topolino d’Oro, quell’anno è mio. Purtroppo l’evento non fu documentato da nessuno scatto in posa preso com’ero a sbeffeggiare i miei colleghi più giovani. L’anno dopo invento Bum Bum Ghigno ma la casa editrice mi rinnova comunque la fiducia: “Un errore può capitare a tutti!”. Vedo passare quattro direttori, tre capo-redattori e cambiare quattro sedi, eppure è tutto immutabile, la stessa magia degli esordi e quel senso di onnipotenza di quando con un segno puoi mettere un Pinocchio seduto.

Nel 1998 viene pubblicata su Topolino la storia “Topolino e il fiume del tempo”.

La ricorrenza era importante, il 18 novembre del 1928 nasceva Topolino. Compiuti i settant’anni, non ci si voleva far sfuggire l’occasione di celebrare con tutti gli onori l’evento.  Cinquanta pagine per festeggiare il compleanno e ripercorrere insieme al lettore l’ideale continuazione di quella prima straordinaria avventura a cartoni animati di Mickey Mouse, Steamboat Willy. Disegnare Topolino con i soli pantaloncini rossi e bottoncioni gialli, così come veniva rappresentato all’esordio, era elettrizzante, era come compiere un tuffo nel passato. Per farlo mi sarei dovuto documentare per ripercorrere fedelmente quei sapori e non tradirne le atmosfere. Il lavoro fu lungo e entusiasmante ma non privo di complicazioni: numerose pagine avevano come unico scenario un’imbarcazione, spesso veniva richiesta la ripetizione della stessa inquadratura limitando la regia e vincolando la possibilità di variare il punto di vista, le tante vignette mute costringevano a mettere in campo dei personaggi che recitassero in maniera rigorosa e ineccepibile. Sarei stato in grado di affrontare un compito tanto arduo?

Certo è che mi resi conto fin da subito che, grazie alla sapiente regia di Faraci e Artibani, la storia era una di quelle che aveva la magia di prenderti per la giacchetta e trascinarti nell’ilarità e nella commozione come poche. Gambadilegno, smessi per un volta i panni dell’avversario, qui veniva proposto con delle sfumature di umanità mai esplorate prima. Anche Topolino, pagina dopo pagina, si ricrede. Il suo nemico di sempre, disonesto, esasperante e invadente, nutre un indiscusso affetto per lui e le tante disavventure vissute insieme hanno creato un legame indissolubile, empatico oltre ogni misura. Dopo questa storia il loro rapporto è destinato a cambiare per sempre e anche i lettori guarderanno a Gambadilegno con quell’indulgenza che si riserva agli amici più maldestri.

Sono passati quindici anni dalla sua prima uscita in edicola e la storia ha avuto un notevole successo venendo ristampata ben otto volte in Italia e in numerosi paesi esteri.

Nonostante in prima istanza ho provato la sensazione che l’ennesima ristampa per questo libro poteva risultare superflua e ripetitiva, presto mi sono convinto che una monografia non avrebbe avuto la stessa forza e valore senza la presenza di Topolino e il fiume del tempo.

Sempre in quell’anno realizzo “Paperino & Bum Bum, pasticcieri pasticcioni”.

Un anno prima per la prima volta sulle pagine di Topolino veniva pubblicato un personaggio con camicia a quadri e peli sulle spalle, Bum Bum Ghigno. Vorrei però precisare che all’interno della storia “Paperino e la macchina della conoscenza” il personaggio avrebbe dovuto esaurire il proprio compito, quello di cattivo che alla fine si redime. Punto. Il nome fu il risultato di cinque secondi di riflessione. Era un personaggio tra i tanti con un nome qualsiasi. Non c’era nessun progetto alla base e nessuno sforzo di farlo piacere, nessuna riunione o sondaggio esplorativo, neanche lo studio preliminare per abbinargli dei colori, nulla...Eppure Ezio Sisto, capo redattore in quegli anni, intuì le potenzialità e lo promosse. Quando mi propose di scrivere una nuova storia con quel personaggio bislacco, sorrisi. Credevo scherzasse. Non scherzava. Tirar fuori qualcosa di divertente da quel papero dal carattere brusco e dall’aspetto poco gradevole fu stranamente facile e in poco tempo la nuova sceneggiatura si dipanò spontanea e leggera. Ecco, questa che state per leggere è la sua prima storia con l’ingaggio in tasca, quella dell’esordio ufficiale nella grande famiglia Disney, con tanto di nome nel titolo per vantarsi con gli amici. E’ su questo palcoscenico che muove i suoi primi passi incerti, e anche se potrà apparire leggermente impacciato, graficamente grezzo e dalla linea decisamente poco raffinata, perdonatelo, è un debuttante.

Dopo è il turno di “Paperino e il sinistro dottor Murdy”.

Venti anni fa usciva in edicola la storia “La banda dei Bassotti e la notte dai Paper Addams” (Topolino n.1937, 10.01.1993). Nino Russo aveva costruito con semplicità una sceneggiatura fluida e molto divertente, che io fui molto lieto di interpretare. Era la parodia della fortunata “ Famiglia Addams” ideata da Charles Addams e il riscontro fu di quelli sperati, tanto che a distanza di sei anni proposi un soggetto per continuarne la saga. Il capo redattore di allora, Ezio Sisto, mi raccontò che un contenzioso col regista giapponese Akira Kurosawa proprio per la rivisitazione disneyana del suo film più celebre, I sette samurai, aveva costretto la Casa editrice a una decisione drastica: le parodie erano sospese. Peccato. Il soggetto funzionava. E se avessimo cambiato i personaggi e rivisitato il tutto?

Detto, fatto. Nasceva per colpa di Kurosawa  il sinistro dottor Murdy, un personaggio stravagante, diverso, che, stanco di essere preso di mira proprio per il suo aspetto sinistro, decide di vendicarsi. Nelle mie storie c’è sempre un’attenzione per il diverso. Tutti temiamo i mostri. Gli strani ci obbligano a prendere in considerazione un punto di vista diverso dal nostro e questo spesso ci fa paura. Ecco, volevo scrivere una storia dal punto di vista dei diversi, di quelli che, dall’alto della nostra “normalità”, guardiamo con sospetto.

Nel 2001 esce in edicola una storia bizzarra, “Paperino nel Bum dipinto di Bum”.

Incontrai il Signor Bonaventura sul Corrierino dei Piccoli in tenera età e rimasi affascinato dalla bellezza di quei pochi, calibrati, segni sintetici che formavano figure semplici a contrasto col linguaggio impiegato, decisamente aulico e forbito. Il risultato distorto dava un effetto ironico che divertiva e rapiva fino al finale che culminava inevitabilmente nella fortunata vincita di "un milione"...di lire: cifra astronomica, per l'epoca, divenuto "un miliardo" negli anni ottanta.

E’ così che le letture del Signor Bonaventura mi sono rimaste dentro e un bel giorno mi sono ritrovato a scrivere questa storia dove un papero dentuto e sopraccigliuto ne ripeteva le gesta coi sottopancia in rima baciata. L’espediente è elementare: le poche pagine che omaggiano il personaggio nato dalla fantasia di Sto, Sergio Tofano, viene giustificato con le letture di vecchi giornali da parte di Bum Bum Ghigno, l’allusione al Corriere dei Ragazzi è chiara. La citazione si poteva cogliere o meno, non potevo pretendere che dei bambini che all’inizio degli anni duemila avevano dieci anni conoscessero il personaggio, la storia non doveva risentirne e al limite invece incuriosire. Il papà trombone avrebbe avuto finalmente l’occasione di tediare i figli con i ricordi delle letture della sua infanzia. Il racconto dunque si snoda in due direzioni simili ma opposte, uno strano parallelo tra la storia come l’avrebbe pensata Tofano e le disavventure reali che invece toccano al povero Bum Bum. Anche quest’ultime, come i milioni del Signor Bonaventura sono inossidabili.

Sempre del 2001 è “Topolino allo specchio”. Era da tempo che in lunghe riunioni redazionali si discuteva su come rinverdire i fasti del personaggio Topolino. Ci si rendeva conto che negli anni aveva assunto le caratteristiche scomode di personaggio esemplare, senza lacune, senza difetti, dal piglio volitivo e dal cuore generoso. Tutto questo lo rendeva impeccabile ma anche meno simpatico, per esempio, dell’indolente Paperino che, forte della valanga di difetti che non prova neanche più a nascondere, è sempre nelle grazie dei lettori, imperfetto proprio come ognuno di noi.

Le ipotesi e i suggerimenti si susseguirono ma era impensabile calare Topolino nel ruolo di personaggio isterico o insicuro, certo, ruolo molto umano e vicino ai lettori ma poco adatto alle sue caratteristiche. Come intervenire? Cominciai a pensare che cosa potesse rendere incerto un personaggio tanto solido. Forse incontrare uno come lui...anzi, uno meglio di lui, che riesce dove anche Topolino fallisce e, a poco a poco, rosicchiare la sua popolarità, il suo mondo, i suoi affetti. Sì, questo avrebbe potuto essere un ottimo spunto per far crollare tutte le sicurezze del compassato Topolino.

Era fatta! Una sorta di sosia avrebbe fatto le sue stesse cose ma con risultati migliori, troppo in gamba, troppo capace, troppo scaltro, troppo tutto...un Troppolino, insomma!

Nel 2003 un altro omaggio, questa volta a una colonna del fumetto francese con la storia “Bum Bum e l’artista liberato”.

Si avvicinava il 75nnale di Tintin. Ero consapevole che in Italia il personaggio non avesse la stessa popolarità che oltralpe. Poteva comportare qualche rischio proporlo a un pubblico a cui poteva sfuggire lo sforzo parodistico, malgrado questo, mi dissi, tutti sanno chi è Tintin e lo stile è sempre stato riconoscibilissimo, un vero marchio di fabbrica, baloon rettangolari, linea chiara, occhi a oliva nera e tutto il resto, perchè non giocarci? E’ proprio da questi presupposti partii per costruire il mio personalissimo omaggio al ragazzino col ciuffo.  In poco tempo prese forma la nuova versione di Tintin (rinominato Denden, come lo potrebbe chiamare uno raffreddato), del suo cane Milou (Piciou per la versione Disney), dell'amico capitano Haddock (qui Hadciuk, per la sua passione per il Whisky) e della sua nave dal significativo nome "Hergé", il nome dell’autore. Poi gli imbranati detective Dupont e Dupond (chiamati Dipent e Dipend) e del duro d'orecchi ma geniale professor Girasole (qui professor Doposole). Lungi da me l’idea di ripetere pedissequamente i modelli originali ma reinterpretarli conservandone lo spirito e la riconoscibilità sarebbe stato tutt’altro che semplice. Infine c’era da elaborare un espediente che giustificasse il viaggio. A proposito, come far arrivare i tre amici in Francia? Nave? Aereo? Ma no! Basterà attraversare il ponte di Paperopoli!

Nel 2004 viene pubblicata la storia “Bum Bum e lo scettro tribale”.

Le bugie hanno le gambe corte e le menzogne vengono presto scoperte, è vero, però ci si prova lo stesso. Si azzarda la frottola per tirarsi fuori da una situazione scomoda, per driblare un appuntamento sgradito o un lavoro faticoso. Churchill addirittura diceva che la verità è così preziosa che bisogna proteggerla sempre con una cortina di bugie. Insomma, le fandonie fanno parte di noi da sempre, dai tempi in cui ci raccontavano convinti che eravamo nati sotto un cavolo o veicolati da cicogne formate al reparto di ostetricia. Piano piano ci siamo abituati a trattare con le bugie, considerarle come un male necessario. Dico io, un male? Ma siamo sicuri che dicendo sempre la verità il mondo sarebbe più pulito e le nostre vite migliori? Siamo veramente sicuri che nell’arco di qualche giorno non perderemmo tutto: affetti, amici e addirittura il lavoro? Sembra una provocazione, lo so, e un po’ lo è...Ma sono serio quando dico che non mi vorrei trovare nei panni di chi fosse costretto, da un sortilegio fiabesco o un anatema lanciato da un faccione riflesso, a dire sempre e esclusivamente la verità. I guai sarebbero assicurati. Non ci credete? Chiedete a Bum Bum.

La maschera tribale compare qualche anno dopo nell’episodio “Paperino, Archimede e l’anonimo Bum Bum” (2012).Breve e stralunata fiaba sul rifiuto dei propri difetti. Difetti che ci fanno vivere il disagio dell’inadeguatezza ma sono anche quelli che ci contraddistinguono e ci rendono unici. Se non si è attenti a cogliere queste pillole di filosofia spicciola si rischia di fare la fine del papero dentuto e sopraccigliuto. Con Bum Bum tutto si esaspera fino a raggiungere il paradosso surreale e lui reagisce per quello che i suoi neuroni gli permettono: se non posso migliorare io allora peggiorino tutti gli altri. Vivere serenamente la propria condizione sfavorevole è molto più semplice quando è condivisa da tutta la gente di Paperopoli, come lui dentuta e sopraccigliuta. Il rovescio della medaglia però è la massificazione che rende tutti anonimi e indistinguibili ma questo Bum Bum lo scoprirà sulla sua pelle, o dovremmo dire piume.

Ero molto piccolo e già mi chiedevo da quali risorse potesse mai attingere Babbo Natale per potersi permettere di far lavorare gratis tutta la ciclopica struttura di gnomi aiutanti e costruire e distribuire giocattoli per i bambini di tutto il mondo. Era ricco di famiglia con inclinazione alla filantropia? Era stipendiato da uno più alto di grado di lui? E chi? E perchè lo faceva? Dove prendeva i soldi? Mia madre capitolando all’incalzare delle mie domande aveva strutturato una convincente impalcatura teorica in cui le famiglie segnalavano quali regali portare ai propri piccoli preoccupandosi di dare il corrispettivo in danaro e Babbo Natale eseguiva pedissequamente ricavandoci anche qualcosa per se e per i suoi collaboratori. Ora si spiegava perchè i gemelli del secondo piano avevano regali di Natale sempre avvilenti, erano due e i genitori dovevano dividere i pochi soldi per i regali di entrambi. Ecco, dunque, Babbo Natale era un mero esecutore, incaricato dai genitori di tutto il mondo per il lavoro sporco. Molto meno romantico ma almeno adesso il ragionamento filava.

Filò a tal punto che più di quarant’annidopo, 2008,  partorii questa storiellina delirante in cui la solenne, rassicurante, paciosa figura di Babbo Natale decide di quotare in borsa la sua azienda per ricavarne profitti, “Bum Bum e il Natale Spa”.

A “Topolino e i furti improvvisati” toccò una sorte strana. Il soggetto rimase nel cassetto quasi quattro anni, più o meno il periodo di pausa che con le storie Disney, per circostanza curiose, per disegni astrali, per un susseguirsi di eventi secondo un ordine difficilmente modificabile, fui costretto a prendere.

Dopo tanto tempo, riprendere a disegnare una storia con Topolino significava quasi un nuovo esordio, con tutto il complesso di ansie e raggiante entusiasmo che questo comporta. Era il 2009.

Il canovaccio era semplice e ripeteva cliché narrativi collaudati ma aveva in sé degli spunti che ritenevo interessanti da sviluppare. Trovavo divertente che la città improvvisamente si ritrovasse funestata da furti compiuti da massaie, bambine, generali e giocatori di tennis: gente onesta presa da un raptus inspiegabile, tutta insieme...Perché?

Il cattivo di turno inizialmente avrebbe dovuto essere Spennacchiotto ma, dietro suggerimento della redazione, gli si preferì il granitico Macchia Nera, più solido e più conosciuto dalle ultime leve di lettori.

Bum Bum è un fanfarone, uno a cui non si può dare credito, eppure a volte è di una ingenuità toccante, di una disarmante sincerità. Così come quando Pinocchio battendosi la tasca della giacchetta giura di non avere le monete d’oro, facendole inavvertitamente tintinnare, così anche Bum Bum è trasparente nelle sue bugie fino a farle diventare delle verità dichiarate in modo diverso. Eppure...

In “Bum Bum e la legenda del Ghigno de Oro” il nostro amico dentuto ci trascina in una favola metaforica dove nell’arco di trentasette tavole riesce a completare l’intera parabola di una fenomenale carriera calcistica, fino a toccare la fama, la popolarità, e poi giù in fondo fino all’abisso della solitudine di quando sei fuori posto, in un ruolo che senti non tuo. Non si saprà mai qual è il confine tra quello che racconta e quello che gli è successo, ma ci piace fantasticare che anche tutto quello che inventa a forza di raccontarlo diventi vero. In questa storia ognuno ci riveda il giocatore che vuole, la meteora bruciata dalla pressione mediatica, il talento mai esploso, la grande promessa rimasta tale, quella di Bum Bum è un concentrato di tutto questo.

Quando venne pubblicata  nel 2010 il commento che più mi lusingò fu quello di un lettore che descrisse le azioni di gioco, al di là della chiave umoristica ovviamente adottata, come tra le più realistiche che gli era capitato di vedere. Questo perchè quel papero dalla mole tondotta riesce a convincere tutti, anche me.

L’eterna lotta tra il male e il bene, tra i buoni e i cattivi spesso si affida a una definizione dei ruoli giocata sulle sfumature. Monicelli ce ne dà prova nel film Guardie e ladri dove Totò e Fabrizi sono due personaggi uguali ma contrapposti, simili ma divisi da un’uniforme, quella di Fabrizi. Personaggi di una genuina umanità, potrebbero tranquillamente cambiarsi di posizione lasciando immutata la storia. Anche a Gambadilegno, uno dei personaggi più articolati e controversi della famiglia Disney, si fa fatica ad affidargli un ruolo di furfante a tutto tondo, come se il personaggio richiedesse attenzione sulla sua natura assai più complessa. Lo sfidare le regole è la sua ribellione al destino che non gli ha mai dato l’opportunità di poterle rispettarle, non è il fine stereotipato di un ladruncolo senza spessore. Ci accompagna la convinzione che Pietro potrebbe vestire i panni del commissario rimanendo fedele e coerente al suo personaggio, ed è un po’ quello che succede in questa storia dove per una volta i ruoli, se non ancora invertiti, subiscono una sterzata, convogliano verso un patto di non belligeranza per sbrogliare il difficile groviglio nell’immancabile storia di fine anno, quello del 2010. Un capodanno strano dove il tempo non scorre né lento né veloce...non scorre affatto! “Gambadilegno e il blocco di Capodanno”.

 

2012, ancora un omaggio ai personaggi dei fumetti, e questa volta con un sapore tutto particolare. Trovare la chiave per interpretare il mondo western che conoscevo piuttosto bene, in versione umoristica è stato molto faticoso. Mi sono dovuto liberare di anni di studio naturalistico, rivedere le proporzioni di cavalli, carri, armi, rendere tutto coerente e umoristico senza togliere credibilità a quello che andavo rappresentando. La storia “Bum, un ranger in azione” è un tipico racconto western. Avevo poche tavole a disposizione in cui racchiudere tutto quello che per me rappresentava il mondo del ranger: mistero, avventura, azione, indiani. Riuscire a farci entrare tutto fu una sfida che mi lanciai e mi intestardii a perseguire. Il Teschio Nero, il cattivo di turno, fa da fulcro a tutta la vicenda e intorno a lui ruota il mistero e il susseguirsi di eventi soprannaturali e inspiegabili. Il suo nome ha un debito diretto con il Teschio Rosso di Marvelliana memoria, quello di Capitan America, e come quest’ultimo, anche il demoniaco personaggio della storia Disney aveva la necessità di rendersi imprevedibile e inquietante. Per i dialoghi ho dovuto studiare sodo, immergendomi in letture di decine di albi per ricavarne il succo di quello che era il tipico linguaggio della serie. Ho dovuto studiare e poi rielaborare il gergo di Tex per una parodia scanzonata., scimmiottarlo ma mantenendone il sapore, con l’intento ovvio di strappare un sorriso a tutti, anche a chi ha poca domestichezza con le letture Bonelli.

E’ raro per un disegnatore maturare un doppio registro in ambiti tanto diversi. Ancora più raro è avere la possibilità di fondere questi due mondi: prendere il personaggio realistico di uno e rivoluzionare la sua interpretazione spogliandosi di tutto quello che si conosce graficamente di lui, tutto quello che si è imparato fino a quel momento in anni curvi su un tavolino. Bene, questa è la storia che più di tutte crea un personale ponte tra le mie due vite professionali: Bonelli e Disney. Non ricordo nemmeno da dove partì lo spunto inziale. Ripercorrendo con la memoria le innumerevoli parodie di personaggi famosi mi resi conto che mancava all’appello proprio il ranger più longevo e popolare del fumetto italiano: Tex.

Sapevo che il suo editore, Sergio Bonelli, era riluttante alle versioni umoristiche dei propri personaggi e non vedeva di buon occhio neanche il fumetto a colori ma, forte del mio rapporto professionale e umano, ero quasi sicuro di evitare tirate di orecchi. Anzi, man mano che il progetto prendeva corpo, l’idea di coinvolgerlo in un articolo di presentazione su Topolino appariva sempre meno spregiudicata. Ne parlai con la direttrice Valentina De Poli e presentai il soggetto. Il suo entusiasmo cancellò anche le ultime perplessità.

La storia venne realizzata col massimo impegno professionale ma con in più un coinvolgimento emotivo senza precedenti. In poco tempo infatti era cambiato tutto, e quello che doveva essere un semplice omaggio a Tex, improvvisamente assumeva i contorni di un addio al suo editore. Forse la storia non gli sarebbe piaciuta, forse avrebbe mugugnato e storto la bocca ma, per tutti i suoi modi garbati di evitarmi tirate d’orecchi, questa storia la dedico a lui.

La lista delle storie pubblicate su Disney d’Autore 2013 si chiude con Topolino e gli esploratori del domani”.

Topolino in pantaloncini rossi non è neanche più solo un personaggio, è un’icona! In braghette e bottoncioni gialli il nostro eroe è capace di affrontare qualsiasi situazione, qualsiasi epoca e clima, anche quello rigido dell’inverno newyorkese del 1932. E’ proprio lì che Artibani ambienta questa storia piena di avventura e fantascienza, facendo un piccolo omaggio a quei generi che negli anni Trenta accompagnavano i racconti disneyani. E’ la seconda volta che mi trovo a disegnare Topolino  col vestito degli esordi e sempre per appuntamenti importanti, il primo fu “Topolino e il fiume del tempo”, questo festeggia l’80°compleanno del giornale che porta il suo nome, è un privilegio di cui mi onoro.

All’inizio fui turbato dalla complessità della messa in scena: decine e decine di foto che mi aiutavano a interpretare nel giusto modo l’America di quel periodo, mi costringevano a ogni vignetta a fermarmi e studiare il materiale a disposizione, gli intensi dialoghi, fitti e incalzanti, spesso lasciavano poco spazio al disegno obbligandomi a acrobazie grafiche, come a esempio la tavola d’apertura. Ma tutti i problemi vennero cancellati in un attimo, appena si palesò lui, il personaggio in braghette e bottoncioni gialli.

Grazie di essere arrivati fin qui.


 

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